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La responsabilità dell’organo sindacale di una società fallita va provata dal curatore 

La Corte di Cassazione, Sezione I Civile, con l’Ordinanza del 17.10.2022, numero 30383 si è espressa su di una richiesta del risarcimento danni per omessa vigilanza da parte dell’organo sindacale della società fallita. 

In estrema sintesi la Suprema Corte ha stabilito che l’onere di provare le responsabilità dei sindaci revisori per non aver vigilato sulla situazione economico finanziaria della società fallita, ricada sulle spalle della curatela del fallimento.  

La responsabilità civile degli organi contabili della società fallita 

Con questa ordinanza, infatti si è affrontato il tema della responsabilità civile dei sindaci per errori contabili commessi nel loro ruolo di organi sociali.  

Il curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ha proposto una causa per ottenere il risarcimento dei danni, a suo dire, causati alla società e ai suoi creditori dall’amministratore unico e dai sindaci della società fallita. 

Il curatore lamentava la presenza di numerose irregolarità nei documenti sociali e sosteneva che fossero idonee a dissimulare la reale situazione economico – patrimoniale della società. 

Queste irregolarità avevano determinato l’erosione del capitale sociale dell’Ente, e realizzato operazioni in frode alla compagine sociale e ai creditori. 

Da qui la richiesta di risarcimento presentata dal curatore e accolta dal Tribunale di primo grado. 

 

La prova della responsabilità contabile e che questa abbia causato danni spetta al curatore 

Durante il processo di appello la questione si è spostata sull’aspetto tecnico processuale dell’onere della prova, cioè se fosse compito del curatore che chiedeva il risarcimento, provare le irregolarità di cui accusava i sindaci. 

In particolare, secondo la Corte d’Appello: 

  1. l’obbligo di vigilanza del collegio sindacale, oltre al controllo contabile, attiene anche alla gestione della Società; 
  2. la responsabilità dei sindaci e degli amministratori è riconducibile all’art. 2407, comma 2, del Codice Civile, e si fonda su: 
  3. la violazione dei doveri istituzionali dei sindaci; 
  4. il danno derivatone alla Società, ai creditori sociali, ai soci o a terzi; 
  5. la sussistenza del nesso di causalità tra il difetto di vigilanza e il pregiudizio arrecato. 

La Corte d’Appello quindi ha considerato generiche le deduzioni del curatore e ritenuto che fosse lui a dover dimostrare che le irregolarità ci fossero state e fossero la causa dei danni patiti dalla società e dai creditori. 

La sentenza riformata in appello è stata a sua volta impugnata davanti alla Corte di Cassazione che, con l’ordinanza citata che qui commentiamo, ha respinto la richiesta di risarcimento danni ritenendo che il curatore non avesse assolto il suo onere probatorio, cioè non avesse dimostrato quanto avrebbe dovuto, a sostegno della sua pretesa.  

La regola delineata dalla Cassazione allo scopo di accertare la responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza sull’operato degli amministratori, impone a chi avvia il procedimento per richiedere il risarcimento di fornire la prova, non solo dell’inadempimento dei doveri dei sindaci ma anche del danno che ne è conseguito. 

Chi propone la causa (in questo caso il curatore), deve anche dimostrare che c’è un rapporto di causalità tra l’inerzia dei sindaci e il danno arrecato alla società e ai suoi creditori. 

L’omessa vigilanza di cui vengono accusati infatti rileva solamente se ragionevolmente si può ritenere che l’avere esercitato un maggior controllo avrebbe consentito di limitare i danni per società e creditori. 

Per la Giurisprudenza infatti c’è un unico caso in cui è possibile quella che tecnicamente si chiama «inversione dell’onere probatorio», quando ci si trovi davanti all’assoluta mancanza o alla palese irregolare tenuta delle scritture contabili che rendano impossibile in concreto al curatore fornire la dimostrazione del nesso di causalità. 

In casi di questo genere i giudici hanno ritenuto che la condotta del sindaco revisore sia di per sé idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio della Società.  

 

a cura di Avv. Giulia Marsili 

 

 

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